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Da anni, ormai, Émile Bouin e Marguerite Doise non si rivolgono più la parola, e comunicano solo attraverso laconici, ma non per questo meno crudeli, bigliettini. Ciascuno fa la spesa per conto suo, ciascuno ha una sua dispensa, e ciascuno mangia, da solo, a un orario diverso da quello dell'altro. Del resto, niente li predisponeva a formare una coppia armoniosa: lei è magra, pallida, impettita e irreprensibile; lui tarchiato e sanguigno; lei ha alle spalle gli splendori di una famiglia dell'alta borghesia caduta in rovina e il ricordo di un primo marito musicista; lui viene dal mondo operaio, e nel suo passato ci sono le balere in riva alla Senna, i piaceri semplici del proletariato della banlieue, e una moglie allegra e polposa morta troppo presto. Lei detesta l'odore del sigaro toscano e i modi rozzi dell'uomo; lui trova irritanti le leziosità della donna. L'odio ha preso corpo in un momento preciso, quando Émile si è convinto che sia stata Marguerite a uccidergli l'amatissimo gatto - e si è vendicato sul pappagallo da lei prediletto. Un odio che da allora si è solidamente installato tra loro, diventando, come scrive Benoît Denis, "un sentimento puro, senza ombre e senza contaminazioni", del quale non possono fare a meno perché è per entrambi l'unica ragione di vita, e l'unica barriera contro la morte.