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Fra il 1998 e il 2003, con l'intensificarsi delle sue collaborazioni a giornali e riviste, Roberto Bolaño accumula una quantità rilevante di discorsi, interventi, recensioni. Sembra un effetto collaterale dell'idea compulsiva di scrittura a cui da sempre pagava il suo tributo. In realtà, come i lettori avranno modo di scoprire, Bolaño stava dando vita a qualcosa di diverso e imprevedibile: un autoritratto per frammenti d'occasione. Tale infatti si rivela subito "Tra parentesi": i testi che vi sono radunati alcuni ancora inediti - sono tutti dedicati a temi o a personaggi niente affatto incidentali nella carriera di Bolaño: il Cile, l'esilio, la poesia latino-americana, la vita e le opere - reinventate in poche frasi - di Philip K. Dick e Burroughs, Nicanor Parrà e Gombrowicz, Borges e Rodolfo J. Wilcock. Una divagazione alla volta, un'incursione dopo l'altra in territori noti a lui solo, questo libro diventa proprio il genere di opera che Bolaño pretendeva di odiare sopra ogni altra: un'autobiografia - qualcosa che, come lui stesso dice delle memorie di Ellroy, "finisce con un uomo solo che rimane in piedi... Vale a dire, non finisce mai". Difficile immaginare un epitaffio più conseguente e più lusinghiero.