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Il viaggio, tra tornanti e gallerie, è interminabile, e all'arrivo si viene accolti dalle maschere spaventose con cui i paesani salutano i forestieri - eppure è proprio quassù che lei voleva arrivare: a Crottarda. La protagonista di questo racconto è una giovane etnomusicologa che ha deciso di condurre una ricerca sull'antico fenomeno dei canti notturni con cui i pastori crottardesi dialogano misteriosamente da una montagna all'altra. Posta sul versante in ombra, e in lotta feroce con Autelor, il villaggio dirimpettaio baciato dal sole, Crottarda è segnata da un'oscurità che, con il passare dei giorni, sembra invadere anche la mente. Anche la conformazione dei luoghi non è che uno specchio del temperamento degli abitanti: il suolo è poroso, l'acqua vi ha scavato doline profonde e tutta la solidità delle cime rischia di collassare in quella invisibile rete di vene. Come in un sogno o in una vivida fiaba, la protagonista insegue le voci dei canti affiancata da due singolari aiutanti - una ragazza strampalata e uno speleologo armato solo della sua lampada frontale - mentre ogni certezza, e la terra stessa, sembrano franare sotto i suoi passi leggeri. La vicenda ha luogo negli anni ottanta ma in un certo senso appare sospesa fuori dal tempo, in un eterno ripetersi delle stagioni: tragedia e commedia vi sono inestricabilmente unite, mutevoli come la luce sui versanti delle montagne. Claudio Morandini dà vita a un canto sulla nostra incapacità di dirci e, al tempo stesso, a un atto di fede nella parola come chiave di una possibile verità.