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C'è un eloquente immagine al centro di questo brillante viaggio oltreoceano, percorso da Sergio Camerino sulle note della voce calda di Marlene Dietrich. Los Angeles, 1940. Marlene è stata raggiunta da Jean Gabin, fuggito da Parigi all'arrivo degli occupanti nazisti. Per lui, e per molti fuoriusciti tedeschi, la diva, la maliziosa seduttrice di uomini e donne, dopo aver cucinato crostacei e pot-au feu, infila una maglietta a righe, annoda un foulard intorno al collo e inclina un berretto su un occhio. Hemingway la guarda, conquistato dalla sua splendida vitalità. "Se non avesse altro che la sua voce, con essa potrebbe spezzarti il cuore" scriverà, con ammirazione. Prima, per Marlene, c'era stata la Germania: l'Impero, la Repubblica di Weimar, le lezioni di violino e il cabaret, le musiche di Kurt Weill. Di lì a poco, la sua voce riscalderà le truppe americane. Nella maturità ci saranno i recital in tutto il mondo, anche nella sua tragica patria. Fino alla scena finale quando a Parigi, a novant'anni, per telefono, quella che è stata una delle più grandi attrici di Hollywood, canterà per un devoto ammiratore la canzone dell'Angelo Azzurro.