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Il volume ricostruisce il decennale dibattito parlamentare che accompagnò la proposta di legge della senatrice Lina Merlin, fino all'approvazione definitiva alla Camera dei deputati, nel 1958. Una battaglia, quasi isolata, di una donna che nelle case chiuse vedeva la deliberata volontà statuale di mantenere migliaia di donne in una condizione di sfruttamento economico, di limitazione della libertà e di mortificazione della dignità personale, in evidente contraddizione con lo spirito e la lettera della nuova Costituzione repubblicana. Un lungo e insidiato percorso, anche per l'indubbia influenza dell'ampia campagna di stampa e di opinione avversa. In Parlamento sono riportate le stesse posizioni assunte da regolamentisti e abolizionisti circa un secolo prima: le case chiuse sono percepite come strumento di controllo sociale, del mantenimento dell'ordine pubblico e privato-familiare. Riecheggiano le teorie della salvaguardia della salute pubblica, della morale, del male minore e soprattutto della necessità ineludibile della casa chiusa, sempre preposta ad accogliere gli insopprimibili sfoghi sessuali maschili. Il tutto nella cornice di una supposta direzione unilaterale nella trasmissione delle malattie veneree, in cui la responsabilità è unicamente imputata alla donna e mai all'uomo. Una riproposizione della doppia morale mai messa in discussione.