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Com'è possibile che molta della migliore produzione intellettuale del Quattrocento italiano, la letteratura e la filosofia in lingua latina degli umanisti, sia così poco conosciuta? Perché gran parte di ciò che i pensatori quattrocenteschi consideravano "filosofia" non è giudicata tale anche oggi? Celenza, esplorando "cosa" si sia davvero perduto della cultura rinascimentale, trova le risposte a questi interrogativi nelle idee elaborate dall'illuminismo, dalle storiografie nazionaliste dell'Ottocento e dall'assetto dei curricula universitari. L'autore lascia poi la parola agli umanisti - in particolare Marsilio Ficino, Lorenzo Valla, Angelo Poliziano, Leonardo Bruni -, analizzando quali fossero le loro idee di filosofia, saggezza, imitazione, ortodossia e status sociale. Il suo recupero del "Rinascimento perduto", il "lungo quindicesimo secolo" che va da Petrarca a Bembo, consente una generale rivalutazione dell'opera degli umanisti italiani e aiuta infine a comprendere la loro continuità con il passato medievale e con figure canoniche del pensiero occidentale più tardo.