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L'autobiografia nella cornice del romanzo è un fattore scardinante che chiama i vari livelli di lettura (teorici, formali, tematici, semantici, filologici) ad una nuova interazione. La presenza "fisica" dell'autore scongiura il naufragio dell'opera nell'aurea eternità della sua dimensione assiomatica, riscatta il parricidio dell'autore e ridona al contempo una libertà più efficace al testo, più vera. Autore, testo e lettore ritornano ad avere un ruolo, perché tutto, nel romanzo autobiografico, parla di compromissione. Il quadro diacronico che deriva dallo studio delle opere trattate in questo volume (dagli esordi settecenteschi del romanzo italiano al secondo Novecento, dall'Abate Chiari a Ottiero Ottieri) mette in risalto le diverse matrici del bisogno autobiografico, toccando i punti più delicati dell'identità dell'uomo, trasportato in una dimensione atemporale, e riproponendo le sempiterne domande dell'umanità: l'autobiografia narrativa fornisce chiavi di lettura e risposte degne di nota. In un periodo in cui si parla di morte del romanzo e della letteratura, il romanzo autobiografico, ora codificato come genere, potrebbe essere uno sprone al "sincretismo", affinché gli strumenti critici possano seguire sempre da vicino il solco lasciato da ciò che per natura li precede: l'opera d'arte.