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In una ricerca condotta attraverso fonti orali, nei mesi in cui si estingueva l'Unione sovietica, decine di comunisti e socialisti di una provincia emiliana raccontano esperienze del dopoguerra e reinterpretano le onnipresenti simbologie sovietiche che contrassegnavano quotidianità e miti della passata militanza. Il paese della Rivoluzione d'Ottobre viene trattato come uno specchio in cui la loro generazione militante e quella dei loro genitori hanno a lungo guardato se stesse, traendone stimoli per realizzare una democratizzazione radicale della società regionale, da prendere a modello di ambiziosi progetti per trasformare quella nazionale. Dietro una Russia guardata come paese idealizzato del progresso e dell'eguaglianza sociale, emerge il loro pragmatismo nell'organizzare localmente nuovi spazi civili e nel costruire durante gli anni Quaranta culture largamente condivise, per nulla somiglianti all'immutabile "mondo piccolo" dipinto nei romanzi di Guareschi e nei film su Don Camillo.