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Nel dopoguerra italiano, attraverso una virtuosa concomitanza di fattori culturali, politici e sociali, prende forma una nuova arte dell'allestimento. Il fenomeno investe tanto le occasioni "commerciali", come le fiere campionarie, quanto l'ambito delle mostre d'arte, fino ad allora poco sensibile ai nuovi codici di comunicazione che andavano emergendo dai pionieristici interventi di sistemazione dei musei. Grazie all'opera di quei maestri dell'architettura e del design che fin dal ventennio fascista avevano coniato un linguaggio allestitivo dirompente, le mostre d'arte richiamano per la prima volta anche un grande pubblico di non specialisti. Quali sono state le ragioni di tale eccellenza tutta italiana? Da quale tessuto culturale sono nate quelle mostre? Quali istanze "politiche" hanno veicolato? Il volume si pone questi interrogativi cercando le risposte nel cuore di quell'officina culturale che è la preparazione di una mostra: attraverso i carteggi, i documenti d'archivio, le fotografie. Dalle voci dei protagonisti emerge un quadro complesso, segnato dalla polarità museo-mostra, da una riflessione profonda sul tema dell'effimero come avamposto di un "permanente" museale, dalla fatica di impaginare e consegnare al pubblico una storia dell'arte tutta da rileggere alla luce delle perdite belliche e del nuovo sfondo culturale.