Tab Article
C'è stato un tempo in cui Varvara Stepanova era solo la moglie di Rodcenko e la fama di Frida Kahlo non superava i confini del Messico. In quei lunghi decenni di oblio, le pittrici e scultrici che avevano svolto un ruolo primario nel grande rinnovamento artistico della prima metà del Novecento si trovavano relegate in una provincia remota e marginale della storia dell'arte. Solo poche personalità erano state risparmiate da quella rimozione dovuta alla disattenzione o al pregiudizio dei critici, all'autocensura delle stesse artiste, alle persecuzioni razziali, alle devastazioni delle guerre mondiali. L'altra metà dell'avanguardia, la mostra ideata da Lea Vergine nel 1980, strappò il velo che celava l'attività di oltre cento artiste europee, russe, americane che, come scrisse Giorgio Manganelli "ignorate, scomparse, rintanate, morte e disperse, o pensose sul tema del morire, ormai ignare di se stesse, avevano portato alla strepitosa avventura dell'avanguardia una ricchezza straordinaria". Fu una scoperta che fissò un canone valido a livello internazionale e impose all'attenzione di critica e pubblico opere e talenti che da allora hanno attratto un interesse costante - basti ricordare il caso di Carol Rama. Tuttora insuperato per rigore critico e estensione delle esperienze indicate, il catalogo dell'esposizione è oggi ripubblicato in forma di libro come riferimento imprescindibile per chiunque voglia conoscere il ruolo dell'arte femminile nei movimenti di punta del secolo passato.