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L'artista anconetano incontra e 'traduce' alcuni temi da l'Ecclesiaste attraverso una sequenza grafica di grande suggestione esponendo nelle sale del Museo della Città una quarantina di 'carte intelaiate', monotipi dalla grafia scabra e dalla densità profonda e ombrosa cercando - come scrive Roberto Cresti nel catalogo della mostra - "senza scrupolo di mimesi, la realtà nella pittura". L'approdo di Angelici all'antico testo scritto in ebraico, la cui redazione avvenne nel IV o III secolo a.C. ad opera di un autore ignoto che scrive per bocca del Re Salomone, è avvenuto per naturale avvicinamento a soggetti e temi che già erano nel registro espressivo dell'artista. Angelici dà origine ad una sequenza di incisioni dominata da campiture dai toni bruni, innervata da un segno potente e dissacrante, da un immaginario sulfureo, sintesi di sentimenti, umori e meditazioni che ben illustrano l'enigmatico contenuto dell'antico testo. Un incontro fatale, nel suo cammino di ricerca, quello che Angelici ha con il Qoelet, anticipato e affrontato dalle precedenti serie pittoriche e incise quali Patire in Passione, che lega in termini metaforici il tema della resurrezione con la genesi delle immagini. Atmosfere che parlano dell'effimero dell'esistenza e del senso di caducità divenuti tratto peculiare dell'artista sono presenti anche nelle sue nature morte, nelle serie incise degli alberi e degli animali.