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Esule armeno, prima a Parigi e poi in Italia, Gregorio Sciltian (Rostov sul Don, 1900 / Roma, 1985) attraversa come un outsider il secolo dell'astrattismo e dell'informale. Fedele ai canoni pittorici intesi a riprodurre il reale, cesella il proprio stile con la pazienza, la ricercatezza, lo scrupolo meticoloso di un fiammingo del Seicento, smarritosi in un altro mondo. Ogni minuscolo dettaglio acquista una fissità quasi metafisica, sia nei numerosi ritratti lasciatici sia negli allestimenti teatrali di Donizetti, Schubert, Weber e Stravinskij, che pure squillano come divertimenti dai colori accesi.