Tab Article
Definire, se non rivoluzionaria, per lo meno destabilizzante una ricerca di base come quella condotta, nel solco di studiosi come Carlo Dionisotti e Giovanni Parenti, da Flavio Santi su centinaia di autori del Quattro-Seicento lombardo oggi quasi sconosciuti (quali Lancino Curti, Giason del Maino, Publio Francesco Spinola) potrebbe sembrare bizzarro. Pure, ciò è quanto risulta allorché si considerino i due risultati principali cui essa perviene su un piano più ampio: innanzitutto come oltre due secoli di cultura lombarda siano precipitati nel nulla agli occhi dei posteri, facendo apparire quello che fu un paesaggio fertilissimo come una landa desolata e rendendo incomprensibili i risultati di quella medesima cultura nel secolo XVIII; e in secondo luogo, come ciò che quegli autori intendevano per umanesimo poco avesse in comune con quanto vale per noi, alimentandosi di Carneadi oggi ignoti non al solo don Abbondio e a malapena nominando coloro che consideriamo i pilastri della classicità. Una prova in più che la storiografia non è la riscoperta di alcunché d'univoco esistente da sempre in qualche dove o qualche quando, ma una costruzione nel presente, e un'ulteriore conferma del celebre giudizio crociano secondo cui "ogni vera storia è storia contemporanea". La memoria storica insomma, anche la più raffinata e dotta, non è, come spesso si crede, un deposito anodino d'informazioni, ma una funzione mentale che ha, di suo, il compito di farci star meglio.