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Questo volume analizza la sfera privata del patriziato pavese tra la metà del XVI e la metà del XVII secolo. Gli atti notarili e le testimonianze dal vivo nei processi per l'ammissione di nuovi adepti al Collegio dei giureconsulti restituiscono un'immagine nuova dei gusti e dello stile di vita di questo ceto, che si declinano nel modo di vestire, di abitare, di porsi di fronte alla cultura, alla religione, alla morte. Gli inventari di beni svelano peraltro ricchezze inusitate e la vistosa tendenza a incrementare gli investimenti in beni di consumo e di lusso, ma anche in quadri, arazzi, libri. Tutto ciò si intreccia con l'aspetto economico. In definitiva, i vari elementi offrono nell'insieme un quadro inedito di Pavia in età spagnola: non più la città decadente e impoverita, relegata a un ruolo di estremo provincialismo, con una nobiltà meschina e rattrappita su se stessa, bensì un centro partecipe a pieno titolo di quella cultura materiale che a partire dalla seconda metà del Cinquecento ha pervaso l'Europa e che in particolare nella penisola italiana è stata alimentata proprio dai patriziati cittadini.