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Almeno due caratteri si impongono nel lavoro intellettuale di Italo Mancini: il carattere di politicità del sapere, l'essere per la vita e la prassi dell'uomo, un sapere che il filosofo urbinate vede inesorabilmente soggiogato dalla terribile equazione di liberazione e lotta, resistenza e resa. E poi, "in dürtfiger Zeit" e in presenza di quella che viene definita "impotenza collettiva d'amore", l'esigenza di fare seriamente i conti con le culture e i grandi movimenti di pensiero che contengono elementi di verità e che sono il prodotto di istanze e aspirazioni individuali e collettive. Il suo pensiero attua così un criterio di attenzione e di ascolto verso tutte le espressioni della vita della cultura, le antiche, le moderne e contemporanee, le odierne, forte del monito di Ernst Bloch secondo cui al pensiero non si può dare nulla ad intendere. Forme culturali alle quali ha sempre posto i problemi e le domande di un uomo non considerato nella sua astrattezza, bensì valorizzato nelle ragioni della sua esistenza concreta, l'uomo hegelianamente colto nella sua identità di essere che "mangia, beve e veste panni". Aderire alla concreta storicità non significa evidentemente pensare "un uomo chiuso entro la curva dei propri giorni", anzi quando vengono tematizzate l'azione e la prassi, il loro orizzonte è sempre al di là del contingente e dell'orizzontalità del progetto.