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L'immagine di una guerra è forse la più consueta nei resoconti della malattia e della sfida al gran male, eppure il racconto che ne fa Sergio del Molino è diverso da tutto ciò che è stato già visto, sentito e rappresentato in forme a volte stucchevoli. La sua è la voce ardita di un'attesa costante, che freme di speranza e paura tra presente e futuro. Un'attesa in continua vibrazione, piena di eventi, sorprese, azioni, gesta coraggiose, a cui il lettore partecipa come se tenesse in mano, nel tempo della lettura, il destino di ognuno. Con il suo tono più intimo, con l'onestà crudele che deve a sé e alla sua compagna, alle infermiere, alle dottoresse, che chiama «le nostre piccole luci nell'abisso», lo scrittore poco più che trentenne narra un anno di vita assieme alla famiglia e al figlio Pablo, quando al piccolo viene diagnosticato un raro e grave tipo di leucemia. Eppure questo non è un libro sull'agonia, sulla malattia, ma il racconto di una paternità senza complessi e rimpianti, che esplora a fondo il rapporto tra genitori e figli e l'inverosimile sgomento della perdita. Del Molino raffigura la frustrazione e l'angoscia di un padre e di una madre evitando ogni sensazionalismo, e il risultato sono immagini ed emozioni che si schiudono nella memoria, pronte a trascendere il dolore senza mai cercare di sfuggirlo. In un'atmosfera intensa, dal tempo racchiuso, prende forma un contenitore che accoglie tutte le parole necessarie a descrivere una condizione al limite dell'esperienza, in cui i luoghi comuni suonano come insulti. E queste parole, alla fine, sono testimonianza e romanzo di una storia d'amore.