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"Egli sempre procedeva soprattutto per intuizione. Non credeva all'evidenza degli indizi, alla certezza delle prove. Nessuna prova era certa. Nessun delinquente firma il suo delitto. Il caso lo firma". È un modo di muoversi e di pensare, quello del commissario De Vincenzi, che sfugge a ogni modello di detective fino a quel momento prevalente. Il suo creatore, Augusto De Angelis, in questo Sei donne e un libro, datato 1936, più di altre volte si sofferma a descriverlo. È un poeta, professionalmente e politicamente tiepido se non scettico; di letture eretiche per l'epoca. Ma quanto il suo creatore De Angelis possa qualificarsi come la fonte originale del giallo all'italiana, si apprezza soprattutto nelle ambientazioni e nelle atmosfere in cui fa muovere il suo investigatore: una Milano consapevole di essere moderna, che sta scoprendo di essere metropoli, animata dalle sculture meticolose di ogni personaggio che formano sempre dei piccoli spaccati sociali. Le sei donne del titolo sono quelle che hanno circondato il professor Ugo Magni, medico di successo, senatore, "un vittorioso, un fortunato della vita". Viene trovato ucciso nei locali di una piccola libreria. C'è un libro scomparso, conventicole dedite a spiritismo e una strana premonizione affidata a dei ferri chirurgici recapitati in questura dentro un camice bianco. De Vincenzi indaga tra interni Déco con dame stupende, tra esterni affaccendati e case di ringhiera in un universo di portinaie e popolani.