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Tra l'aprile e il maggio del 1894 si celebrò a Palermo, di fronte al tribunale militare di guerra, il processo contro i dirigenti dei Fasci siciliani, conclusosi con pene fino a diciott'anni di reclusione. Fu la fine di quel vasto e importante moto di lavoratori e intellettuali siciliani, uno dei primi passi, per quanto accidentato, della democrazia in Italia e che avrebbe enormemente influito sulla sua storia successiva. Epilogo cupamente repressivo per una esperienza civile chiaramente progressista e riformatrice, ingiustamente accusata da Crispi di sovversivismo rivoluzionario e antinazionale. Ma il processo, contro Giuseppe De Felice Giuffrida e gli altri membri del Comitato Centrale dei Fasci, non fu solo un atto politico di liquidazione; dimostra questa ricerca che fu un rito giuridicamente iniquo perché vistosamente viziato da illegalità, anche rispetto ai codici militari ai quali si richiamava. Il racconto si sviluppa su tre plani: uno studio introduttivo che analizza la vicenda sotto il profilo giuridico individuandone i nodi cruciali, illustrandone i nessi e spiegandone le problematicità; un commento riassuntivo delle cronache giornalistiche delle singole udienze; infine, le trascrizioni vere e proprie dei verbali di udienza, con il testo della sentenza conclusiva emessa dalla Corte di Cassazione, a seguito del ricorso.