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La riforma dei servizi pubblici locali è nell'agenda politica da 15 anni. Oggi, dopo la ripresa del processo di liberalizzazione - iniziato nel 1998 con il ddl Napolitano-Vigneri, proseguito con il ddl Lanzillotta (2007) e con il decreto Ronchi-Fitto in questa legislatura - la riforma è tuttavia sub judice. La raccolta di firme per il referendum ha registrato un notevole successo, in nome della lotta contro la "privatizzazione" dell'acqua. In realtà, il decreto Ronchi-Fitto sancisce esplicitamente la natura di bene comune pubblico delle risorse idriche. Prevede peraltro che la gestione dei servizi (di distribuzione dell'acqua, ma anche di trasporto locale e di smaltimento dei rifiuti) sia assegnata mediante gara alla impresa pubblica o privata che farà l'offerta migliore. Non mancano punti critici, come la mancata istituzione di autorità indipendenti di regolazione nei settori dei trasporti, dell'acqua e dei rifiuti e l'esigenza che le amministrazioni pubbliche si attrezzino al compito di controllori e garanti della qualità e universalità dei servizi. Ma, rispetto al passato, oggi le ragioni della liberalizzazione sono rafforzate da un elemento nuovo: lo stress delle finanze pubbliche dopo la crisi del 2008, che impone una rigorosa azione di razionalizzazione e efficientamento delle spese pubbliche, comprese quelle di investimento.