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Il saggio affronta il problema di un nuovo sviluppo per Milano e il resto della Lombardia. Vi è illustrata l'antinomia tra due ipotesi di città: Grande Milano e Città Lombardia. La prima ipotesi, sostenuta dall'urbanistica convenzionale, è il risultato di una astratta concezione della pianificazione: ignara del quadro di riferimento strutturale, identifica Milano come continuum insediativo esteso a scala provinciale, ritenendo che una più qualificata abitabilità del territorio sia chiave di una sua capacità competitiva internazionale. Assunta dalle forze politiche al governo delle istituzioni pubbliche, è diventata una comoda copertura culturale agli interessi speculativi dei maggiori gruppi immobiliari e finanziari. La seconda ipotesi, sostenuta da una scuola di pensiero alternativa, è una Milano allargata al restante della Lombardia, in grado di costituire un'unica città policentrica a scala regionale. Tale città, immaginata già sul finire degli anni Cinquanta, è stata reinterpretata alla luce delle istanze strutturali emerse con la fine del fordismo, individuando un suo ruolo molto esclusivo nella costruzione di un nuovo modo di sviluppo, alternativo a quello oggi imposto dal potere oligopolistico delle grandi multinazionali.