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Le scienze dell'uomo hanno conosciuto nella seconda metà del secolo scorso una rapida fortuna e un altrettanto rapido declino. La sociologia in particolare ha svolto il ruolo preminente che Comte le aveva assegnato, ossia quello di indicare nel progresso scientifico il fondamento ultimo della vita sociale. Nonostante questo primato, essa ha risentito dello strapotere della tecnica. L'immagine che le scienze cognitive (socio-biologia, linguistica, antropologia) ci hanno restituito dell'uomo è al tempo stesso povera e totalizzante. L'individuo sembra confinato in una solitudine atomistica. Di rimando la vita religiosa, accusata di coltivare un'immagine desueta dell'uomo, si è liberata, nel frattempo, dai vincoli di un passato (a dire dei più) oscurantista. Il darsi dell'Origine nell'esperienza sociale e religiosa è il primo dei cinque volumi dell'Opera omnia con cui Vincenzo Filippone Thaulero risponde alle questioni capitali del nostro tempo: l'avanzare della secolarizzazione, l'eclissi del sacro, l'uomo come «passione inutile». In questi saggi l'autore propone una lettura in forte controtendenza, ribadendo il valore di una «sociologia dell'esperienza religiosa» che dia conto della verità ultima, fondativa, dell'uomo e della società. Solo una conoscenza che sia in grado di un'apertura profonda verso il Dio-Origine cristiano, egli dice - vissuta nella radicalità dell'esperienza religiosa - può garantire quel valore ontologico della persona che rischia di naufragare se lasciato al nudo resoconto dell'esistenza pratico-sensibile. Vincenzo Filippone-Thaulero raggiunge questo risultato attraverso la riformulazione della fenomenologia scheleriana, da cui era partito per approdare al suo «rovesciamento» teoretico. Con largo anticipo rispetto alle filosofie dell'alterità e della donazione di Lévinas e Marion.