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Liquidato alcuni decenni fa dalla teologia sull'onda della "demitizzazione" (Bultmann), il diavolo sembra essersi preso la rivincita: si moltiplicano gli esorcisti, si diffondono i riti satanici e gli scritti (pseudo)scientifici sull'argomento. Si tratta semplicemente di un ritorno del mito e quindi dell'espressione di una mentalità primitiva incompatibile con l'attuale visione del mondo? È la domanda che sta al fondo di questo fascicolo, che intende prendere sul serio il concetto di diavolo; fare ciò significa interrogarsi sul senso del male, della sua origine e della sua personificazione: non in Dio, non nell'uomo, ma in un essere misterioso. I contributi qui raccolti prendono le mosse dal racconto primitivo (Gen 3), proprio per andare oltre le interpretazioni letterali del testo sacro e le rappresentazioni ingenue o fantastiche della figura del diavolo. In questo senso le prime due riflessioni sono "fondanti": tentano di mostrare se e come il diavolo possa essere ancora ritenuto tema teologico e in che modo, dal punto di vista filosofico, il diavolo si possa dire "persona". Si passa quindi all'esegesi biblica: studiando il significato dell'invidia del diavolo come causa della morte degli umani (Sap 2,23-24) e la parabola del seminatore (Lc 8,4-15), si mostra in che modo il diavolo sia all'opera. Vengono poi esaminate alcune opere di teologia fondamentale per verificare in che modo i racconti delle tentazioni di Gesù siano al centro della sua predicazione.