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Chi conosce Barbara Spinelli come commentatrice politica del quotidiano "La Stampa" non resterà del tutto sorpreso nel vederla alle prese con un testo letterario, una sorta di monumento della parola, il Moby Dick di Herman Melville, libro di superba architettura e dalla scoperta ispirazione teologica. Non di rado nei suoi articoli ricorre al testo biblico, consapevole che quell'antico strato della memoria d'Occidente sostiene ancora il nostro fragile presente. Basta guardare un po' più in là e un po' più a fondo rispetto a quello che comunemente si è disposti a fare. Proprio Moby Dick - la grandiosa epopea della ricerca umana e della sua dannazione - è, forse, il libro più capace di sollecitare questa essenziale attitudine dell'intelligenza di Barbara Spinelli: la sua capacità d'immergersi sotto la crosta dell'ovvio, sotto la superficie di un'attualità squillante e fin troppo perentoria, nuovo idolo che sovrasta le nostre vite e talvolta, svuotandole, le domina; la sua capacità di scavare nella natura del molteplice, per graffiare l'idolatria dell'Uno, che "ha affascinato sempre la mente umana".Facendo rotta con Achab, navigatore di tenebre, Barbara Spinelli ci accompagna dentro lo spazio di una lotta mortale, dove la ricerca della verità, la lotta - contagiosa - contro il male, e la sopravvivenza di una schiuma di bene altro non sono che il poema della nostra vita.