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Perché parlare ancora della morte? Sembra si stia passando dalla rimozione operazione intellettuale che aveva trovato nella famosa Lettera a Meneceo l'espressione più icastica - alla fattiva negazione. La rivoluzione antropologica che in tale tentativo si manifesta è evidente: se agli umani sono dati intelligenza e potere, perché non usarli per sconfiggere il nemico principale dell'intelligenza e del potere? La vittoria sulla morte non è forse il sogno che nel corso della storia dell'umanità si è inseguito, anche mediante i riti funebri e la connessa fede nella prosecuzione della vita in un'altra dimensione? A queste domande tenta di rispondere il volume, introducendo al tema in diverse prospettive. Alla lettura di un breve testo della Lettera agli Ebrei (2,14-15) segue un'analisi storico-teologica del n. 18 della Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, Gaudium et Spes, in cui il mistero della morte emerge dalla concezione cristiana dell'essere umano. Diversi sono i modi in cui il tema della morte si declina: dalla morte di Cristo come "meccanismo vittimario", sulla scorta di René Girard, al tema della morte in relazione all'autonomia della dottrina morale e al problema della sua origine, con attenzione all'esegesi di Sap 1,13. Ma il tema della morte investe anche i limiti e le prospettive del genere letterario dell'Ars moriendi, o preparazione alla morte, come viene trattata ad esempio in Roberto Bellarmino.