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Hilaire Belloc è conosciuto in Italia soprattutto per i libri pubblicati dalla Morcelliana: L'anima cattolica de l'Europa (1927); Risposta alla grande domanda. Esiste Dio? (1939); Oliviero Cromwell (1947); La crisi della civiltà (1947); Le migliori prose (1957). Pressoché sconosciuto, invece, è il saggio qui tradotto, nato da una sua lezione tenuta a Oxford negli anni Trenta, che può considerarsi un piccolo classico. Se la traduzione è una complessa impresa ermeneutica, dove il traduttore deve mettere in gioco la sua mediazione linguistica e culturale, Belloc in queste pagine dà piena rilevanza non solo agli aspetti teorici che riguardano il tradurre, ma anche a quelli pratici. Accanto alla spiegazione delle varie problematiche e all'enunciazione di particolari teorie, l'autore distilla, forte della sua esperienza personale, osservazioni e indicazioni utili all'arte del tradurre. In poche pagine si mostra con chiarezza la complessità di un esercizio che, muovendo dall'interpretazione fino al ripensamento e infine alla riscrittura nella lingua d'arrivo, fa del traduttore un "coautore" in grado di far rinascere, senza falsificare, "una cosa straniera in un corpo nativo, dandogli carne e ossa nativi".