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Sollecitato dalla traduzione in latino, nel 1823, della Bhagavadgita, uno tra i più importanti dei testi sacri dello hinduismo, Wilhelm von Humboldt pubblica tra il 1825 e il 1826 due memorie accademiche di commento al testo sanscrito e alcune note sulla versione latina. In tali testi, qui tradotti per la prima volta in italiano, l'interesse linguistico si intreccia con la problematica dello sviluppo storico dell'uomo e delle modalità del suo agire politico nel mondo, attestando così la dimensione antropologica come un luogo centrale della filosofia humboldtiana. Non a caso Humboldt rende il termine hindu "yoga" con "Vertiefung": l'atto dell'approfondire, del concentrarsi su un dato oggetto, dello scavare, dell'immergersi fino nelle profondità di qualche cosa. In questa concentrazione di tutte le energie psichiche in uno sprofondamento totale che annulla ogni altra realtà circostante si ritrovano un anelito e una tensione religiosamente ispirate che si evolvono fino a intraprendere la via di una unione mistica con l'Assoluto. Identificando in tale sprofondamento il nucleo della portata filosofica della religione indiana, Humboldt perviene infine a celebrare nella Bhagavadgita un canto supremo della libertà religiosa dell'uomo morale.