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Il monocromo ha attraversato l'arte del Novecento con un ampio ventaglio di declinazioni e di significati: di volta in volta (e non di rado tutti questi aspetti congiunti) aspirazione all'assoluto, riduzione al grado zero della pittura, esaltazione della dimensione percettiva e simbolica del colore, riflessione sulle coordinate elementari di spazio e tempo, evidenza delle materie naturali o industriali, il monocromo ha così postulato, nella purezza lampante del colore, una nuova dimensione dell'utopia, fisica non meno che mentale. L'attenzione all'architettura e al design si è allora incrociata con la ricerca di una purezza venata di misticismo, l'esplorazione dei fonemi primari della visione e dello sguardo con la contaminazione di un nuovo universo di icone. In Italia, la grande stagione del monocromo coincide non a caso con i decenni che seguono il dopoguerra, quando le istanze di modernizzazione, i nuovi processi dell'industria e l'inquietudine di una società in rapida e profonda mutazione concentrano su questo tema una carica sperimentale tanto rigorosa quanto visionaria, fatta propria da molti dei maggiori artisti del secondo Novecento: da Burri a Fontana, da Manzoni a Castellani e Bonalumi, da Scarpitta a Consagra, da Mauri e Uncini a Schifano, Angeli e Festa, fino a Isgrò, Verna e Olivieri.