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Giuseppe Migneco (Messina, 1908 - Milano, 1997) è conosciuto come uno dei massimi esponenti della pittura realista italiana. Un grande maestro che nelle sue opere aveva rappresentato e si era immedesimato nella sofferenza degli umili. Un isolano che, pur essendosi recato molto giovane a Milano, aveva portato sempre nel cuore la sua Sicilia, come rimpianto, nostalgia, evocazione. Famosi i suoi quadri che ritraggono pescatori, contadini e vedove. Quello che questa mostra di Taormina vuole sottolineare è invece il "Migneco europeo", l'artista che, senza nulla perdere della sua sicilianità, aveva aperto le finestre sull'arte europea, a cominciare da Van Gogh, la cui suggestione chiara si avverte nelle sue prime opere di accento fortemente espressionista, affidate a una pennellata contorta e sofferta, con colori bruciati di giallo e verde marcio. Su quell'impianto poi l'artista seppe sviluppare, attraverso una "rilettura" della sintesi cubista di Picasso, un suo inconfondibile linguaggio. Fino a giungere, intorno agli anni Sessanta-Settanta, a quella spietata e acre critica contro la società del falso benessere. Il tempo in cui la sua pittura si fa scarna, con toni cromatici lividi e freddi, quasi slavati, che fanno pensare alle immagini raggelate di Bernard Buffet. Poi l'ultima vibrante stagione in cui Migneco riflette sulla sconfitta personale e collettiva di un mondo divenuto indifferente e violento.