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Negli anni pur ricchi di fermento, in cui si registra una velata emarginazione della "Marca" dai centri decisionali della politica europea, Andrea Vici, per la sua poliedrica formazione e per essere eletto prima accademico di merito e poi principe dell'Accademia di San Luca, svolge una parte non secondaria a livello di unificazione culturale e sembra essere una testa di ponte tra la provincia e Roma, dove è aperto il dibattito teorico sull'architettura e sui linguaggi e dove si va per studiare sia le fonti del classicismo antico che del classicismo moderno. Allievo dell'ultimo epigono del barocco, Luigi Vanvitelli, Vici non aveva potuto evitare di assimilarne la concezione architettonica impostata sull'idea di continuità della linea compositiva, sulla scansione gerarchica delle parti edilizie, sull'irresistibile seduzione delle forme concave e convesse. Planimetria, alzato, ornamento: chiarezza, proporzione, semplicità. Intorno a questi temi si sviluppa il linguaggio architettonico viciano, che manifesta la propria capacità di trarre il meglio dalle situazioni più complesse secondo la grande lezione del barocco. Nella sua triplice veste di architetto, ingegnere idraulico e punto di riferimento per i problemi tecnici, lavora e collabora su diverse scale all'adeguamento progressivo di un articolato assetto territoriale.