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Poche personalità hanno avuto altrettanta influenza sulla storia moderna del giovane reverendo Martin Luther King Jr. Una figura epocale, centrale nella battaglia per i diritti civili negli Stati Uniti, riconosciuto come un faro da generazioni di persone che ne hanno seguito gli insegnamenti, ieri come oggi. Con il suo esempio e il suo sacrificio, la lotta contro le discriminazioni e i soprusi è stata elevata a ragione di vita, ma condotta sempre con l'inarrestabile arma della non violenza. Salito agli onori della cronaca a soli 26 anni nel 1955, quando a Montgomery, Alabama, guidò la resistenza e lo sciopero dell'intera comunità afroamericana contro la politica di apartheid della locale amministrazione - fatta conoscere a tutto il mondo dal rifiuto della sarta Rosa Parks di lasciare il proprio posto sul bus a un uomo bianco -, King ha attraversato oltre un decennio di turbolenta vita americana. Il combattivo ministro battista riuscì a elevarsi a simbolo della voglia di riscatto della sua comunità (e di tutti gli ultimi, dai nativi ai poveri dei quartieri dimenticati delle metropoli) ma anche del rifiuto della guerra (il Vietnam era in piena escalation) fino a guidare, il 28 agosto 1963, la celebre marcia a Washington, nel corso della quale pronunciò, in un discorso di 17 minuti, le parole che lo hanno reso immortale: «I have a dream». Parole che ancora oggi - nell'America delle tensioni razziali e del Black Lives Matter, ma anche nel resto del mondo dove guerre e speculazioni continuano a costringere a emigrazioni di massa e creano fenomeni di "rifiuto" e muri che si alzano - pongono il premio Nobel per la pace nel 1964, arrestato 29 volte e oggetto delle "attenzioni" dell'Fbi per tutta la durata del suo impegno, al centro della storia.