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Formare, formarsi: perché farlo, per chi farlo? Questione attuale o desueta? Interrogativo dell'umano sull'umano o mera problematica scolastico-professionale? È ancora il tempo per un investimento - di risorse, di desiderio - che tocchi l'essere del "formando", la sua partita per la vita? Oppure, nella precarietà della contemporaneità - economica, comunitaria, biopolitica - è preferibile una spinta alla tecnicalità, all'anonimato di una formazione low cost per tutti? E come la scuola, in quanto istituzione preposta all'insegnare-educare-formare-orientare, ne è toccata? Il testo prova a raccogliere la sfida insita in questa categoria classica della tradizione pedagogica per articolarla e interrogarla attraverso le elaborazioni scientifiche, etiche e tecniche che provengono dall'esperienza e dal campo della psicoanalisi. La lettura della formazione come pratica di discorso può fondare un tentativo di creare condizioni di pensabilità e operatività di una clinica delle relazioni formative e della scolarità: scommessa sulla struttura transferale del gioco dei legami in atto, più che ondivaga acquisizione tecnica. Sullo sfondo di queste problematiche vengono qui reperiti e interrogati alcuni nodi critici: la formazione umana, il costituirsi del piccolo d'uomo, la formazione dello psicoanalista, i rapporti tra pedagogia e psicoanalisi, la posizione dell'operatore di fronte all'impossibile, il reale del problema scolastico, l'etica dell'orientamento formativo. Un filo rosso sembra attraversarli: per chi suona, dunque, la formazione? Non per l'insieme anonimo dei "tutti", ma per l'uno per uno.