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La disciplina in materia di indennità e vitalizi-pensioni dei parlamentari è da anni terreno di un aspro conflitto politico e costituisce anche il punto di emersione di una pluralità di questioni, non affrontate o affrontate solo parzialmente: il conflitto di interessi, la limitata disciplina dell'ineleggibilità "d'affari", nonché la scarsa tracciabilità dei rapporti economici intercorrenti tra parlamentari, rappresentanti dei gruppi di interessi, finanziatori e partiti/gruppi parlamentari. Al fondo della crisi che ruota intorno ai costi della politica si colloca l'esigenza di recuperare consenso e legittimazione, coniugando la libertà del mandato con il dovere di fedeltà alla Repubblica di chi è chiamato a rappresentare la Nazione. La strumentalizzazione in chiave anticasta del relativo dibattito lascia però impregiudicato il nocciolo della questione; è davvero giustificabile continuare a intendere l'autonomia costituzionale secondo una concezione tradizionale, inclusiva degli aspetti amministrativi e contabili? In un'ottica di effettiva razionalizzazione, il tema della regolazione della retribuzione dei parlamentari deve essere affrontato riscoprendo il senso dell'istituto nella sua dimensione costituzionale.