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Questo scarno libretto dice subito ciò che l'autore vuole che sia detto. Sin dalle prime righe ne è enunciato il filo conduttore: l'idea, anzi, per motivi etico-sociali, l'esigenza, di predicibilità del diritto. Come dire, la necessità di un scrittura delle regole che consenta, nei limiti del possibile, una sicura guida dell'azione: il diritto strutturalmente non identificabile con il comando diventa, in quanto realizzazione nei fatti di giustizia retributiva, comando. Su questa via si guarda all'istituto della capacità di intendere e di volere in diritto penale: certamente per quello che in proposito è espressamente sancito, andando però oltre il dictum. La ricognizione del reale non sembra sufficiente quando il reale non detta alla condotta tutti i canoni di riferimento: nel caso nostro più che alla condotta dei destinatari, alla condotta di quella particolare fascia di interpreti che sono i giudici. Con l'avvertenza che non si propongono soluzioni di merito; si formula solo l'istanza che l'ordinamento fornisca soluzioni "pubbliche" e, quindi, oggettive, sottraendo il discorso al privato, spesso quanto mai pregevole, ma sempre soggettivo.