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Il fattore identitario religioso è sempre stato elemento determinante e discriminante nei processi di formazione degli ordinamenti politici e giuridici. La storia dell'Europa, dalla fine del Medioevo all'epoca moderna e contemporanea, testimonia il processo di nascita delle nazioni e della rule of law attraverso una progressiva, inesorabile, e sovente conflittuale, espulsione del fattore religioso dagli architravi portanti i presupposti etici normativi dello Stato. Con il termine della Guerra Fredda diversi autori si sono avventurati nella previsione della fine dei fattori identitari degli Stati, in virtù dell'avvento di una nuova 'età dell'oro' all'insegna dei principi della democrazia e dei diritti umani nella scia del formidabile processo di globalizzazione delle istituzioni politiche. Gli eventi degli ultimi due decenni paiono smentire tale profezia. La storia degli ordinamenti giuridici più recenti non può infatti ignorare la reviviscenza strutturale di fattori identitari quali la religione, la lingua, l'appartenenza etnica, che concorrono in misura determinante a ostacolare i processi di internazionalizzazione dei diritti umani. È questo il caso topico del mondo arabo islamico, dove ai violenti sconvolgimenti dell'assetto politico di numerosi Stati, precedenti e successivi alla Primavera araba, si accompagna una netta conferma della religione islamica quale unico - e non di rado discriminante - fondamento etico, giuridico e normativo delle libertà fondamentali della persona negli ordinamenti nazionali e sovranazionali. La ricostruzione storica del processo di riconoscimento dei diritti umani, e della libertà religiosa delle comunità cristiane in particolare, negli Stati di fede islamica in Medio Oriente conferma come la concezione universalista dei diritti umani non abbia ad oggi risolto armoniosamente il suo confronto con il delicato e ineludibile tema della libertà religiosa nella sfera dello spazio pubblico.