Tab Article
Il padre di Benito Mussolini di mezzi ne possedeva pochi. E per peggiorare la situazione trascurava i suoi interessi chiudendo spesso la sua bottega di fabbro per andare qua e là per la Romagna a diffondere il verbo dell'Internazionale socialista di cui era ardente assertore. Eppure suo figlio Benito, segnato da quello che André Suares nel suo "Peguy" definisce "la più antica nobiltà del mondo" - la povertà, appunto ("Ben pochi ne son degni") - trovò ben presto nella sua inesauribile vitalità interiore e nella sua orgogliosa ambizione, la capacità d'imporre la propria personalità attraverso una lunga serie di vicende avventurose di alterna fortuna. Ne troviamo il racconto nelle pagine dell'infanzia e dell'adolescenza, nonché nel "Diario di guerra" che formano l'oggetto di questa terza monografia. La sua indipendenza di carattere, la sua turbolenta irrequietezza il piccolo figlio del fabbro di Predappio le dimostrò ben presto, nelle scorribande sulle rive del Rabbi, al contatto con la natura, alla testa dei monelli che guidava con sicuro intuito di capo. Mussolini anche allora si sentiva "libero". E alla libertà aggiunse la solitudine anche se sapeva suscitare entusiasmi, tenaci affetti, totali dedizioni. Eppure, malgrado questa "grinta" esteriore, fu anche un sentimentale. Basta pensare alla struggente nostalgia della casa e del paese natio che lo pervadeva nell'austero e rigido collegio salesiano.