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La sindrome oggi classificata come 'disturbo di depersonalizzazione' fu descritta per la prima volta all'inizio del diciannovesimo secolo, circa cinquanta anni prima che le venisse dato un nome. I primi resoconti dei pazienti registrati nella letteratura medica ruotano attorno a un senso di estraneità da se stessi e distacco dal corpo e dalle emozioni, e di conseguenza dal mondo esterno ("è Come se ogni parte del mio sé fosse separata da me", "è come se ci fosse un muro tra me e il mondo esterno", "è come se stessi vivendo in un sogno continuo"). Classificata oggi tra i disturbi dissociativi, la depersonalizzazione è un fenomeno di grande interesse clinico per le sue peculiari manifestazioni fenomenologiche, psicologiche e psicopatologiche, e ancora per molti versi enigmatico. Si caratterizza principalmente per un'alterazione della consapevolezza dei processi mentali e corporei: un intenso ottundimento emotivo e l'inquietante sensazione di osservare i propri pensieri e le proprie azioni dall'esterno. Fenomeni che vengono di frequente riscontrati in diverse sindromi psichiatriche e dunque non caratterizzano esclusivamente i disturbi dissociativi, presentandosi spesso anche all'interno di altri quadri clinici connessi ai disturbi d'ansia, dell'umore, somatoformi, alimentari, e così via. Prefazione all'edizione italiana di Vincenzo Caretti e Adriano Schimmenti.