Tab Article
Esiste il mal d'India, inguaribile come il mal d'Africa. Lo contrasse un giovanissimo dottorando romeno, giunto a Calcutta nel 1929 per imparare bene il sanscrito e applicarsi alla filosofia e ai testi sacri indiani. Le forme, i colori e i profumi stordenti, il discepolato con maestri leggendari Surendranath Dasgupta e Rabindranath Tagore - e le epifanie quotidiane di una realtà misteriosa lo avvolsero in un incantamento senza fine. Quando, a distanza di decenni, raccontò la malia di quel suo primo incontro con l'indianità tanto vagheggiata, Mircea Eliade era ormai uno dei più acclamati storici delle religioni del Novecento. Padroneggiava uno scibile sterminato, tra Oriente e Occidente, ma accanto ai registri saggistici da studioso sapeva coltivare appassionatamente anche la scrittura narrativa. Una tastiera presente in questa raccolta. Se "L'India a vent'anni" sceglie la tonalità affettiva del ricordo, gli altri due testi si concentrano su aspetti rivelatori della metafisica tantrica e delle dottrine buddhiste, declinando diversamente lo stesso atto d'amore di Eliade verso una tradizione che è tutta "dalla parte della vita e del corpo". Corpi umani congiunti in un'unione sessuale di cui "Sull'erotica mistica indiana mette in luce il lungo cerimoniale di preliminari e l'accesso a una beatitudine suprema che coincide con l'arresto del seme e il ripristino dello stato primordiale di non-differenziazione.