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Giuseppe Nigro ricostruisce le vicende delle famiglie di origine ebraica Friedmann e Sonnino. Affermati esponenti della borghesia industriale lombarda, partecipi del diffuso consenso di cui a lungo godette il regime, sia Enrico Friedmann che Flavio Sonnino non poterono sottrarsi agli effetti sempre più discriminanti della legislazione razziale varata dal fascismo a partire dal novembre 1938. Se l'epilogo delle loro fughe - lungo direttrici opposte, verso la neutrale Svizzera per i Friedmann, in direzione del Regno del Sud per i Sonnino - non fu tragico quanto il destino di molte vittime della Shoah, lo si deve all'audacia e alla determinazione che mostrarono, e anche alla buona sorte. Il fine di escludere i «sudditi di razza ebraica» dalla vita politica, culturale ed economica della Nazione, fino alle estreme conseguenze, fu infatti perseguito con scrupolo e costanza dagli apparati periferici dello Stato, assuefatti ad eseguire senza discussione gli ordini impartiti al livello centrale dell'amministrazione. La difficile condizione, meno nota, delle donne italiane considerate «nemiche in patria» perché coniugate con stranieri è richiamata dal caso esemplare di Savina Bogni. Completano il volume la prefazione di Alfonso Botti, una preziosa testimonianza di Paolo Lazzaroni Andina, la sentenza con cui il Tribunale di Milano reintegrò Flavio Sonnino nella proprietà del Calzificio Nazionale e il testo del Regio Decreto Legge 20 gennaio 1944 n. 25.