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«Ci sono parole che acquistano il loro spessore dal fondo di silenzio in cui si ascoltano [...] Ascoltiamo [...] Arguedas nel 1968, un anno prima di suicidarsi, quando gli venne assegnato il premio Inca Garcilaso de la Vega: "i muri isolanti e oppressivi non spengono la luce della ragione umana soprattutto se essa ha conosciuto secoli di esercizio; non si spengono, perciò, le fonti dell'amore da cui sgorga l'arte. All'interno del muro isolante e oppressivo, il popolo quechua, abbastanza arcaico e abituato a difendersi con la dissimulazione, continuava a concepire idee, a creare canti e miti. E sappiamo bene che i muri isolanti delle nazioni non sono mai completamente isolanti. Io fui gettato al di sopra di quel muro, un tempo, quando ero bambino; mi lanciarono in quella dimora dove la tenerezza è più intensa dell'odio e dove, proprio per questo, l'odio non è sconvolgente ma è un fuoco che dà slancio"» (Antonio Melis, Notizia sul Quechua. Dietro il silenzio, 1981).