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Nell'Italia del Seicento ignoranza, superstizione e analfabetismo opprimono il mondo femminile in tutti i ceti sociali. Le donne vivono chiuse tra le mura conventuali o domestiche e su di loro gravano pesanti preconcetti misogini, largamente e profondamente diffusi, di disuguaglianza tra i due sessi, anche fisiologica. Nonostante ciò, non sono poche le spinte che portano le donne a reagire contro pregiudizi ed emarginazioni: a spiccare tra le principali promotrici di questi movimenti è, a Bologna, Cristina Dudley Paleotti (1650-1719). Donna colta, erudita in vari ambiti del sapere, che conosce più lingue, legge, si aggiorna e scrive, arrivando anche a pubblicare le sue opere ancora in vita. Se le documentazioni a lei contemporanee la definiscono come una delle persone più "illustri" per cultura, spirito, abilità nel dire e di vasta e varia erudizione, non così fanno quelle redatte a quasi due secoli dalla sua scomparsa, a fine Ottocento. Consultandole si assiste a un'operazione di pesante diffamazione, particolarmente in due testi di Corrado Ricci. Sono queste biografie dettate da una forte misoginia, all'insegna della calunnia e della profonda avversione per quello che riguarda non solo la Paleotti, ma anche la figura della donna in generale. È così che, ignorando l'ingiuriosa impostazione giunta sino ai giorni nostri, attraverso uno scrupoloso lavoro di rilettura di cronache del tempo e di dettagliati manoscritti, l'autrice cerca di donare nuova dignità e giustizia a una figura fondamentale per la storia dell'emancipazione femminile.