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Viviamo alla periferia di noi stessi. Fra una tradizione che ha perduto i presupposti per trasmettersi e una modernità sempre più scopertamente convenzionale, il bisogno di riconnettersi con la propria umanità diventa necessario e remoto, sommerso com'è dal frastuono di obblighi sociali contingenti. Le costellazioni familiari si inseriscono nel filone delle ricerche che rispondono all'antica necessità dell'umano di guardare a se stesso nelle attuali circostanze. Come in tutte le spiritualità sincere, come nel taoismo antico, il metodo di Hellinger ci apre non a credenze, ma a un terreno di pratica personale e collettiva. Il precetto "riconoscere ciò che è" ci suggerisce di esporci alla vivida dimensione della realtà interiore, presa fenomenologicamente per quello che è e per ciò che comporta. L'assioma per cui oggettivo corrisponde a vero e soggettivo a relativo vacilla paurosamente. Appare sempre più chiaro che lo sguardo sul mondo di un soggetto alieno fornisce solo verità utili ma ingannevoli: l'oggettività, che si spaccia come il farmaco per l'ansia collettiva di vivere, ci trascina invece in direzioni laceranti, ingombre di conflitti etici. Persa la sua radice (il lumen naturale), l'utilità sociale opprime la realtà esistenziale di ciascuno. A partire dalla fenomenologia, abbiamo la possibilità di collegare le tradizioni laiche occidentali e orientali, di confrontare le costellazioni familiari con il taoismo. Otteniamo così un paradigma diverso: invece che definizioni "chiare e distinte" e credenze, disponiamo di griglie interpretative elastiche, che ci mostrano non oggetti separati, bensì le relazioni che naturalmente intercorrono tra essi all'interno di un quadro globale, in cui anche l'interiorità umana trova la propria dimensione originaria, la propria cura.