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Questo agile volumetto di Pucci Cipriani non si prefigge certo la velleità di voler (ri)scrivere la storia di Napoli, anche se il ruolo che si propone non è da meno: restituire a Napoli e alla napoletanità, attraverso i ricordi e le impressioni dell'autore, da sempre innamorato e profondo conoscitore del Sud, la sua essenza più profonda, e perciò più vera. La Napoli del popolino, indelebilmente legata alla Fede e alla Tradizione, nel quale ancora si odono gli echi dell'hispanidad (per dirla con Francisco Elias de Tejada), della fedeltà alla corona (o' re) e ai costumi degli avi. Vestigia di un tempo (neanche troppo antico) a testimonianza di una familiarità con il sacro. Echi di una civiltà pacifica, già capitale europea, nei secoli in bilico tra progresso e povertà. Brevi pennellate di esperienze vissute in prima persona, un'alternanza di toni scuri e luminosi, un continuo sovrapporsi di grigio scuro frutto dello scoramento nel vedere la città perdere la sua identità, oramai invasa da catene di negozi (uguali ovunque) o da suk improvvisati, e l'azzurro marino dei ricordi dei molti viaggi e degli anni vissuti a Napoli. Squarci di luminosità nel ricordo della Fede, diffusa e popolare (la Fede di ieri e di sempre, fatta di candele e incensi, Introibo ad altare Dei e genuflessioni). Una fede quotidiana, esibita, talvolta contraddittoria, ma sempre sincera e profonda.