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Questo saggio di Silvia Peronaci su Baudelaire, presentato da Emerico Giachery e con un Poscritto di Gianluca Valle, ha un taglio filosofico inedito. L'autrice si propone di rimeditare la ricezione dei Fiori del male scavalcando la dicotomia di Spleen e Idéal su cui tanta critica ha incentrato le proprie analisi. L'indagine stringe il fuoco sui modi di creare in Baudelaire e ne ricostruisce, a suo modo, la fenomenologia. A segnare i margini estremi del dualismo nativo di Baudelaire non sono, come sembra, i due poli che pur intitolano la prima e più lunga sezione del suo canzoniere. In controluce è possibile ravvisare un'altra «polarizzazione» che fa filare l'anima baudelairiana: quella fra essere e divenire, fra esistenza costruita, perfetta ma impersonale, ed esistenza vissuta, imperfetta ma personale. Se l'atto creativo intrapreso da Baudelaire consiste nel metter mano alla parola poetica per difendersi, il risultato non è un'esperienza di vita ma la sua «geometrizzazione». Quando invece Baudelaire intraprende la parola poetica per «essere tra gli uomini», allora essa confluisce in un'esperienza che si umanizza. Spesso l'esperienza non è negativa in sé ma a causa del gesto - meccanico o vivente - con il quale il poeta dei Fiori del Male interagisce. Questo il motivo per il quale la filosofa ha rinvenuto nella creatività baudelairiana gli ordini distinti di un atto geometricamente costruito, che rompe con le cose e le rifugge, e di un atto fenomenologicamente vissuto, che va «dritto alle cose». Presentazione di Emerico Giachery; con un Poscritto di Gianluca Valle.