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Per più di un aspetto, l'Italia odierna può essere considerata un laboratorio sociale di prim'ordine. Una società per secoli, dalla caduta dell'Impero romano nel 476 d.C., contadina, rurale e artigianale, nel giro poco più di una generazione, fra il 1950 e il 1980, compie una «rivoluzione industriale» che in Inghilterra ha richiesto poco meno di due secoli. L'Italia è dunque una società industrializzata, seconda potenza manifatturiera in Europa, ma priva di una completa cultura industriale. L'Italia resta infatti una società famigliocentrica, una democrazia in cui valgono più le conoscenze che la conoscenza, il merito cede di fronte alla raccomandazione ad personam. Di più: la mancanza di una lucidità condivisa, il localismo, una burocrazia pletorica e inefficiente, una generale mediocrità che si autoriproduce con inaspettate, splendide isole di eccellenza in tutti i campi. Va infine considerato un paradosso tipicamente italiano: un Paese ricco, ma con grandi sacche di povertà e di disoccupazione, specialmente fra i giovani e nel Mezzogiorno. Con circa settanta milioni di abitanti, l'Italia rappresenta demograficamente, l'uno per cento della popolazione mondiale, ma questo uno per cento detiene il cinque per cento della ricchezza planetaria, che però è nelle mani del trenta per cento delle famiglie italiane.