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La figura e l'opera di Piero Gobetti, dopo un tentativo di deformazione compiuto negli anni novanta del secolo scorso, in una fase contrassegnata dal "revisionismo storico", sono cadute nell'oblio quasi assoluto, in conseguenza del distacco che si è venuto a determinare in Italia tra politica e cultura. Il presente volume, dopo aver offerto una chiave interpretativa del pensiero del giovane intellettuale torinese (morto prematuramente nel 1926, esule a Parigi, in seguito a una malattia aggravata dalle percosse ricevute in un'aggressione squadristica) che rifugge dai facili schematismi e che ne evidenzia i tratti di originalità, nell'ambito del liberalismo, intende approfondire l'attività di critico letterario e teatrale svolta da Gobetti sulle proprie riviste, su «L'Ordine Nuovo», quotidiano comunista, e su altri giornali, che è stata sinora considerata superficialmente poco più di un'esercitazione scolastica. Dall'analisi emerge come il giovane studioso, muovendo da coordinate estetiche di stampo crociano, se ne sia progressivamente allontanato, conquistando la dimensione storica e accostandosi al metodo critico desanctisiano.