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Rico e Lele vivono a Ponteferro, immaginaria cittadina industriale qualche chilometro a sud di Roma. Hanno poco più di venti anni e sono amici da sempre. Rico ha una famiglia unita, che lo ama e con cui vive in sintonia. Lele, invece, ha un padre e una madre assenti e un fratello maggiore che, per scappare a tutto ciò, si è trasferito da molti anni in Inghilterra. Le loro sono le tipiche giornate dei ragazzi di provincia: studio, lavoretti, una scalcagnata band con cui suonare qualcosa in uno scantinato. Attorno a loro, però, turbina un microcosmo di personaggi eccentrici e vagamente fuori giri, una sorta di coro che fa da controcanto alle giornate dei due protagonisti. Giornate che, a ridosso di un gelido Natale simile a mille altri, prendono una svolta inattesa: Rico e Lele, stanchi di quella routine, decidono di passare al contrattacco attraverso un'idea folle e utopistica: fondare una loro personalissima Città Ideale, Borgoferro, sulle orme di tutti quei pensatori e filosofi illustri che li hanno preceduti teorizzando soluzioni simili. Una sorta di regno indipendente da realizzare nelle campagne lì attorno, in cui rifugiarsi con pochi altri eletti per fuggire dalla noia e dalla mediocrità imperanti. Da questo improbabile presupposto parte una sarabanda comica, tenera e romantica che si sviluppa nell'arco di ventiquattro pirotecniche ore, in cui i due protagonisti capiranno che tra il dire e il fare c'è di mezzo un ostacolo insormontabile: la realtà. Il romanzo è un picaresco viaggio a chilometri zero. Perché i viaggi più epifanici e avventurosi, a volte, sono quelli che partono dalla nostra testa. Senza che le gambe nemmeno se ne accorgano.