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È uno strumento straordinario la parola. Dalle innumerevoli sfaccettature e possibilità. Per Claudia Cangemi è sia strumento per esplorare le proprie sensazioni sia professione, poiché da molti anni si occupa di cronaca e cultura in qualità di giornalista. Due anime, scavare nel proprio vissuto e fotografare la realtà spesso nei suoi aspetti più crudi, che in questa sua ultima silloge si compenetrano perfettamente. Sfera privata e sfera pubblica. Ché per le donne, in particolar modo, come recitava un famoso slogan degli anni Settanta del secolo scorso il personale è politico. La Poetessa trova la parola giusta per dare un nome al dolore, alla tristezza, alla speranza, alla fragilità e alla forza che albergano in ognuno di noi, e accoglie al contempo uno sguardo che si apre al mondo. La poesia non si limita a distillare emozioni e riflessioni intime ma esprime il disagio nei confronti di una società che si presenta confusa e dolente e nella quale è sempre più difficile identificarsi. La Poetessa si concentra sul prossimo nel senso evangelico del termine, che sia vicino o lontano poco importa. I rigurgiti d'intolleranza, di razzismo, la rozza disumanità di chi sbraita slogan che inneggiano all'egoismo la portano a solidarizzare con le vittime e a chiedere al lettore uno sforzo di empatia nei confronti di quanti hanno un diverso colore della pelle ma soffrono gli stessi dolori. Non ci sono però solo i profughi in questi versi, che sanno dare voce all'angoscia della malattia mentale e di quella fisica, al tormento della dipendenza. C'è poi l'intollerabile ingiustizia che colpisce un popolo senza pace, un giovane idealista, o una città, c'è l'invocazione a una presa di coscienza per ritrovare il senso di una fratellanza universale, proprio quella in cui credeva la madre narrata nella poesia che apre la raccolta. Né mancano versi più intimi, dedicati ai figli, agli amori, alla nostalgia dell'infanzia. In un breve viaggio di parole che colpiscono e restano dentro.