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Quello che Amalia Fundarò intraprende attraverso le pagine di Il filo degli indizi è molto più di un'avventura narrativa fine a sé stessa, e supera anche le definizioni più ordinarie di un racconto autobiografico. È affine a ciò che Virginia Woolf intese nel suo Gita al faro: "Ho espresso antiche e profonde ferite emotive e nell'esprimerle le ho spiegate e poi seppellite". Da sempre l'uomo ha cercato nelle forme espressive, che ha avuto modo di sviluppare, situazioni in cui potersi confessare, esprimendo sensazioni e desideri, per potersene in qualche maniera liberare o canalizzarli in forme che ne potessero facilitare la realizzazione: la parola scritta si pone dunque come il medium privilegiato per liberare le proprie emozioni, e per poterle riconsiderare in un'ottica evolutiva. Attraverso un tragitto autobiografico dallo stile maturo, pulito ed essenziale, l'autrice affronta con coraggio il proprio passato: dall'infanzia e la difficile relazione con la madre, fino ai frangenti decisivi di situazioni delicate con il marito e le figlie, in un racconto retrospettivo della propria esperienza capace di sprigionare un grande impatto sulla memoria. La rielaborazione di sentimenti e impressioni diviene lo strumento più potente per riappropriarsi della propria vicenda personale e quindi della peculiarità umana su cui si basa il presente: nostalgie e successi, speranze e delusioni, rapporti complessi, e infine la decisa assunzione di responsabilità verso sé stessi e la propria felicità sono descritte e analizzate nei risvolti più sinceri e privati.