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Moso e Mattia, che è anche la voce narrante delle loro esperienze, sono due giovani fiorentini amanti della vita notturna, tanto che quasi ogni sera escono in cerca di avventura e vagano per locali da quelli più alla moda a quelli trash. Il loro preferito è il Manifesto gestito da Otello, un caratteristico barman attento alle chiacchiere degli avventori. Qui Moso, professore di matematica in un liceo, va a correggere i compiti dei suoi alunni ché a casa le continue chiacchiere dei genitori lo distraggono e Mattia, dopo avere tentato uno stage come cameriere prontamente licenziato, espone i suoi quadri. Dei due è Mattia quello più sfrontato e concreto, così mentre l'amico discetta di hamburger vegetariani ai funghi e di libri Mattia tenta di rimorchiare le belle ragazze che incontrano nei loro giri notturni. Ed è proprio il popolo della notte a essere co-protagonista della silloge, popolo variegato fatto di signore âgé in cerca di divertimento, di uomini maturi al braccio di ragazze giovanissime, di bellezze in tacco quindici concentrate su sé stesse e qualche mosca bianca. Una raccolta di racconti anomala perché in realtà si tratta di bozzetti tutti realizzati in stile diverso - si va dall'ibrido monologo interiore-flusso di coscienza al dialogato stretto - i cui protagonisti sono però sempre loro: Maso e Mattia. L'autore attinge all'espressione gergale giovanile, al dialetto fiorentino con i suoi modi di dire, porta il colloquiale sulla pagina scritta e narra di una generazione, quella dei trentenni, alle prese con il desiderio di andare a vivere da soli, di trovare un lavoro che li soddisfi, una ragazza o magari anche tante in attesa di quella giusta, di sbronze, di chiacchiere. Non per questo una generazione vuota, solo un po' più fragile e confusa.