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La raccolta Gengive di Andrea Napoli si configura come un'esperienza carnale cui mai sangue fu più straniero. Accetta la materialità del mondo e il suo corpo come ovvia evidenza, fin dal titolo, ma li tratta con interesse da coroner che ostinatamente cerca barlumi di metafisica nel cadavere dell'esistenza. Lo stile oggettivo di quest'opera, la versificazione disseccata da ogni posa libresca o, peggio, in odore di poeticità, denudano la pancia di un litorale linguistico fatto di termini semplici, quotidiani, espressioni aforistiche familiari. Gengive è il manifesto di un uso colloquiale della lingua, spesa per descrivere nervi erotici di relazioni decomposte e brevi stupori imprevisti covati sotto oggetti comuni, orbitanti attorno ai nostri più soliti e desolati circondari.